Barak Obama: dalle promesse elettorali alla realtà.

Barack Obama, nelle parole di David Boaz http://www.cato.org/pub_display.php?pub_id=2771 , non può essere un incrocio tra Superman, Babbo Natale e Madre Teresa di Calcutta. Non può perché è un essere umano, e come tale non è in grado di fare miracoli. Questo bisognerebbe sempre tenerlo a mente, per evitare cocenti delusioni, che rischiano di investire i fan del presidente americano in tutto il mondo, e in parte l’hanno già fatto. Il neo-segretario all’Energia, Steven Chu, ha recentemente ammesso che fonti energetiche come il carbone e il nucleare resteranno imprescindibili, nel mix americano. Ciò non contraddice necessariamente l’ampio programma di investimenti nelle rinnovabili promesso in campagna elettorale, che ora dovrà essere tradotto in pratica. Semplicemente, lo contestualizza.

Così, di fronte al Congresso http://online.wsj.com/article/SB123186438560377643.html Chu ha ribadito l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti dell’80 % al di sotto dei livelli del 1990, entro il 2050. Ma questo è un target lontanissimo nel tempo, rispetto al quale nessuna amministrazione può essere ritenuta “accountable”: un presidente dura in carica al massimo otto anni, non può promettere nulla che vada così oltre il suo mandato. Quello su cui invece i credenti nell’obamismo potranno testare l’inquilino della Casa Bianca sono gli impegni a scadenza più ravvicinata: come quelli a raddoppiare, nei prossimi tre anni, l’energia elettrica generata da sole, vento e geotermico. Oggi, queste fonti soddisfano una quota assai contenuta della domanda primaria americana. Tutte le rinnovabili messe assieme ne coprono circa il 7 % http://tonto.eia.doe.gov/energy_in_brief/renewable_energy.cfm , la maggior parte del quale è però costituita da idroelettrico e biomasse. Il solare non raggiunge lo 0,1 % della richiesta, mentre eolico e geotermico ne soddisfano ciascuno lo 0,35 %. Tutti assieme, sfiorano lo 0,8 % del consumo americano: se davvero la loro quota raddoppierà (e i consumi non cresceranno), copriranno un magro 1,6 %. Se, contro ogni probabilità, la loro quota fosse moltiplicata di dieci volte, non arriverebbe comunque all’8 %. Anche nelle ipotesi più ottimistiche, insomma, le fonti rinnovabili sono destinate a restare minoritarie: e ciò richiede di affrontare con serietà la rimanente, e largamente maggioritaria, domanda energetica. Per quanto si possa sperare, o ci si possa illudere, di ridurla di qualche punto percentuale attraverso misure di efficienza, non c’è modo di comprimerla al di sotto di una soglia comunque destinata a restare molto più alta della metà.

Petrolio, gas naturale, carbone e nucleare non possono non mantenere la loro posizione centrale rispetto alla produzione energetica, americana e mondiale, nei prossimi decenni, a meno che non si verifichi qualche improvviso e sconvolgente “breakthrough” tecnologico (che però non è incentivato dalle politiche di sostegno alle fonti rinnovabili). Se si perde di vista questo fattore, ci si tuffa nel paradigma dell’impossibilità. Se lo si nega, si finisce per far lievitare i costi dell’energia per i consumatori, e presto si sarà chiamati a pagarne lo scotto politico. Obama tutte queste cose, al di là della retorica visionaria con qui ha conquistato lo Studio Ovale, le conosce molto bene, come le comprendono i suoi più stretti collaboratori. È quindi realistico attendersi da lui una maggiore attenzione alle fonti verdi, e forse qualche apertura sulle negoziazioni internazionali sul clima (ma non quanto gli europei vorrebbero, probabilmente). Farsi troppe illusioni sarebbe sbagliato: come tutti i leader mondiali, egli deve affrontare limiti tecnici ed economici, resi più stringenti dall’impatto della crisi – che per il presidente è la priorità assoluta. Obama potrà fare molte scelte buone e giuste, o sbagliate e costose, ma in nessun caso potrà mutare radicalmente e immediatamente (peraltro, c’è un trade off tra le due cose) il panorama energetico americano. Chi vuole vederlo passeggiare sulle acque, dovrà attendere a lungo, e invano, sulle sponde del lago.

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